sabato 6 dicembre 2014

Trattato Transatlantic: il Titanic della globalizzazione

Una valanga di firme contro il trattato di libero scambio
Il Ttip, è l’acronimo di Transatlantic Trade and Investment Partnership. Si tratta di un trattato tra Europa e Stati Uniti d’America tendente ad accelerare il processo di globalizzazione, trattato che unisce Europa, Canada e Stati Uniti in un unico mercato di quasi un miliardo di consumatori. I difensori del Trattato affermano che solo l’unione commerciale potrà far fronte alla concorrenza delle nuove nazioni emergenti, imponendo a paesi come Cina, Brasile, India standard qualitativi più alti.

Le ambizioni dei negoziatori vanno al di la dell’accordo commerciale. Il cosiddetto Ttip prevede la liberalizzazione dell'accesso ai mercati, con l'abolizione delle tariffe doganali; nuove regole per abolire le barriere non doganali e per garantire la tutela dei marchi di origine anche al di là dell'Atlantico.
Secondo la Commissione i benefici in termini economici sarebbero enormi. I tempi sono stretti, poiché i lavori dovrebbero concludersi entro il 2015, ovvero prima delle elezioni presidenziali americane, con un aumento delle esportazioni al di qua ed al di la dell’atlantico.
Il principio secondo cui un prodotto autorizzato in Europa può essere venduto negli Usa e viceversa, senza trafile burocratiche è in teoria una semplificazione ed in apparenza una soluzione di molti problemi.


Ma è evidente che un accordo di questo genere comporta una rivoluzione nel mondo dei consumi. E’ prevedibile  l’invasione della carne agli ormoni, o trattata con antibiotici, di polli sterilizzati con la varechina, di verdure, grano, mais, soia e colza prodotti da colture geneticamente modificate, in parte già in atto, anche in Italia. E’ altresì inevitabile che l'Europa subirà la concorrenza sleale dell'industria agroalimentare americana, avvantaggiata da una legislazione meno severa di quella europea. I difensori dell'accordo sostengono che gli europei saranno liberi di scegliere grazie ad un dettagliato sistema di etichettatura, e ribattono dicendo che la produzione europea, di qualità mediamente superiore, sarà tutelata su un mercato americano che si sta ormai orientando verso prodotti più sani e più raffinati.


Contro il trattato di libero scambio con gli Usa e il Canada, si è concentrato un movimento che riunisce
320 organizzazioni di 24 Paesi, le quali hanno presentato più di un milione di firme di cittadini europei contrari al Ttip, raccolte in soli due mesi. Ma la Commissione non riconosce la legittimità dell'iniziativa, e così ora I responsabili di "Stop Ttip", hanno presentato un ricorso alla Corte di Giustizia europea per bloccare il negoziato o per ricominciarlo su basi completamente diverse.  Le speranze di ascolto o di semplice accoglienza del ricorso, sono molto basse, poiché le leggi di iniziativa europea non si applicano ai trattati o ai negoziati internazionali. Ma una mobilitazione così elevata e un numero di firme raccolte in uno spazio di tempo così breve pone comunque un problema politico enorme, di fronte al quale né la Commissione né il Parlamento europeo possono restare indifferenti.



Le decisioni, infine dipenderanno dal potere che avrà il vecchio continente di tutela delle normative poste a salvaguardia della specificità culturale europea. Infatti la discussione si è ancor più accesa sulla concessione alle multinazionali americane di ricorrere ad arbitrati internazionali per aggirare specifiche normative europee, la cosiddetta clausola Isds.



Ma veniamo alle ragioni per cui improvvisamente diviene impellente la ratifica dell’accordo. I motivi sono intrinsechi alla profonda crisi economica americana. Dal 2007 ad oggi il sistema economico USA ha creato sì, 1.085.000 posti di lavoro ma contemporaneamente ha espulso dalla forza lavoro ben 13.300.000 persone, malgrado la comunicazione ci passi dati derivati da filtri della realtà statunitense utilizzati maglie strette e non adatti a descrivere la profondità della crisi sociale americana. Anche il presunto boom della crescita USA rischia di essere solo l’effetto di una distorsione ottica (*).


Alcune domande sorgono spontanee. Perché in Italia se ne sa poco o nulla? Come è possibile che nel paese del gusto e della cucina mediterranea, la mobilitazione sia così bassa? Come mai le campagne informative e di opposizione a queste operazioni partono in special modo dalla Germania, paese, non certo rinomato per i prodotti locali. Siamo proprio sicuri che inseguire i mercati della globalizzazione, o semplicemente delle regole dell’export, siano esse tutelanti o liberiste, sia la soluzione ai nostri mali?

Perché non cominciare a sviluppare una idea concreta di mercati locali, di economia interna e di lotta agli
sprechi, ovvero spostare la priorità dal mercato globale  e globalizzato alla creazione di posti di lavoro?


Francesco Badalini
MDF Verona



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